Paolo Possamai
Trieste I l tiro alla fune tra il nuovo Leone e il vecchio Leone non è affatto terminato. Perché non è solo una prova di forza tra Mario Greco e Raffaele Agrusti. In gioco vi è, in effetti, il profilo autentico della governance di Generali: comanda il management oppure a guidare le scelte sono i grandi azionisti? Passa l’anglosassone forma mentis dell’amministratore delegato, che pretende di scegliere i collaboratori autonomamente e in rapporto ai target reddituali e alle strategie di fondo condivisi con l’azionista, oppure il capitalismo italico che sul Leone vuol applicare il proprio stile nella conduzione day-by-day? Greco vuole rispondere al mercato e agli analisti, sulla base delle performances del titolo e l’andamento reddituale della compagnia. E vuole definitivamente voltare pagina con il passato. P er descrivere la passata gestione, il consigliere Paolo Scaroni è solito dire che quando in Cda parlava Perissinotto era bene guardare la faccia di Agrusti. La materia dello scontro sta qui. Tant’è che, dinanzi alla decisione di Greco di accompagnare all’uscita una figura storica al palazzo rosa di piazza Duca degli Abruzzi a Trieste quale Agrusti, si sono levate le grida e le resistenze di una parte di Mediobanca (13,1%) e di Lorenzo Pelliccioli (DeA ha il 2,43%). Dal numero dei resistenti si tira fuori Francesco Gaetano Caltagirone (2,23%), che dice: «A distanza di un anno, sono molto soddisfatto della scelta caduta su Mario Greco. Vale per me, ma penso anche per
altri azionisti importanti ». Vale per Leonardo Del Vecchio di sicuro. Ma non sono affatto tutti contenti del piglio assunto da Greco sulla querelle Agrusti e sul dossier “parti correlate”. Nel nome di Agrusti, che è stato per un decennio il direttore generale e il leader assoluto della complessa macchina di Generali, avviene dunque il primo vero braccio di ferro tra Greco e alcuni di coloro che lo hanno chiamato un anno fa a prendere in mano il timone a Trieste. E Greco avrebbe ventilato nei giorni scorsi, come extrema ratio, di essere pronto a lasciare e a quel punto nessuno è andato al “vedo”. Dalla sua ha i numeri (basti ricordare che le azioni del Leone in un anno sono salite del 30%). Greco avrebbe comunicato ad Agrusti la propria decisione lunedì 24 giugno, la settimana a seguire è trascorsa appunto in un tiro alla fune conclusosi con uno stallo apparente: la nomina di Agrusti a amministratore delegato di Generali Italia, carica però che dura appena un anno (come l’intero nuovo consiglio di amministrazione presieduto da Sergio Balbinot). Stallo apparente, poiché Greco ha atteso di porre al Cda della holding, da lungo tempo convocato a Milano per il 5 luglio, la necessità di pre-determinare il percorso di uscita di Agrusti, timing compreso, e di selezionare il prossimo timoniere di Generali Italia. E il board ha accolto poi la richiesta del Ceo. Chiunque sia il successore di Agrusti, secondo le intenzioni di Greco dovrebbe avere profilo internazionale e arrivare alla testa della neonata compagnia unica dedicata al mercato italiano attorno a ottobre e il passaggio di consegne dovrebbe avvenire in modo per quanto possibile morbido entro l’autunno (e dunque il bilancio 2013 non dovrebbe portare la firma di Agrusti). Materia all’inizio nient’affatto scontata, anche dal punto di vista del timing. E non meno tensione suscitano le modalità di scouting del designato: Greco chiede totale autonomia. Non è solo questione di stile, ma anche di puro esercizio del potere. Magari a Greco piacerebbe pure che il dossier “parti correlate”, messo assieme da Consob negli ultimi mesi, si facesse nel futuro strutturalmente più smilzo, posto che in Italia si concentrano gli interessi di gran parte dei soci industriali di Generali. Se Greco ha deciso di tagliare con Agrusti, dipende dalla volontà di voltare pagina senza sconti con la passata gestione. E a questo proposito dovremo dire appunto del dossier “parti correlate”: il 18 di giugno sono arrivate quattro richieste di delucidazioni da parte del-l’Authority di vigilanza presieduta da Giuseppe Vegas. La Consob ha chiesto informazioni su Onda, Fondo Apple (capofila Finnat, tra i sottoscrittori vi è Caltagirone, con rendimenti del 34%), alcuni fondi di DeA, investimenti realizzati da Generali Brasil sotto la presidenza di Carmelo Furci. Tutte iniziative antecedenti al 2010, sulle quali il Cda di venerdì scorso non ha espresso rilievi nel predisporre la risposta a Vegas. Niente rilievi nemmeno per le intense relazioni commerciali intrattenute da Generali con Onda Communications, società fondata e retta da Michelangelo Agrusti (fratello di Raffaele e presidente di Confindustria Pordenone). Le ripetute forniture di pc portatili e chiavette internet usb, senza gara, sono la materia del contendere. Materia che a Greco non sarebbe piaciuta nemmeno un po’. Il tema dei business coltivati dal Leone con propri soci o managers è stato messo da Greco fin da subito sotto i riflettori della Commissione internal audit, seppure sottolineando che «non facciamo gli storici, siamo qui per gestire il presente e il futuro». All’assemblea degli azionisti dello scorso aprile, Greco aveva rimarcato che «allo stato non c’è evidenza» di vantaggi occulti e responsabilità nelle operazioni con parti correlate e, tra le più significative, erano state segnalate quelle con Ppf (l’ex socio ceco Petr Kellner), Mediobanca, Ferak, De Agostini, i contratti assicurativi con Vincent Bollorè, Francesco Gaetano Caltagirone, Diego Della Valle e i rapporti di finanziamento con Intesa Sanpaolo. Il capoazienda aveva pure aggiunto che era stata affidata agli avvocati Sergio Erede e Francesco Mucciarelli la valutazione di eventuali rilievi penali («che allo stato non sussistono») o azioni civili: «Continueremo le verifiche e se troveremo qualcosa prenderemo le iniziative necessarie». Del resto, il procedere di Greco nella riorganizzazione interna è coerente per stile e metodo con il dichiarato proposito strategico di concentrare l’azione sul business assicurativo, mollando “patti” (per esempio con Finint per Save aeroporto di Venezia) e “salotti” (vedi Rcs). Ma quando Greco parla di “semplificazione” intende pure l’uscita da partecipate non strategiche e la concentrazione su mercati in cui il Leone possa esprimere una leadership a tutto tondo. In questo senso, con il Group management committee, ha via via ceduto l’israeliana Migdal (705 milioni), una quota di Banca Generali (185 milioni), il ramo di riassicurazione Vita negli Usa (700 milioni), le partecipazioni di minoranza in Messico (650 milioni). Se il piano al 2015 prevede introiti per 4 miliardi, Greco ha già messo in cascina fieno per 2,2 miliardi – di cui circa 800 milioni di plusvalenze – e ancora restano da vendere, tra gli asset in cessione, la Banca della Svizzera italiana (valore di libro 2,3 miliardi) e Fata (compagnia assicurativa specializzata per gli agricoltori, che interessa a Cattolica e che potrebbe valere 150 milioni). Vedremo dunque come procederà il cantiere Italia. Che Greco volesse cambiare l’intera prima linea del management era apparso chiaro già l’8 settembre dell’anno passato, quando nell’ambito del riassetto aveva avvicendato con Alberto Minali -un passato in Ras e Eurizon – proprio Agrusti nel ruolo di Cfo. Ad Agrusti toccavano allora i panni di country manager per l’Italia e di ricondurre a unità la gestione in un mercato che pesa il 29% dei premi totali di gruppo e il 34% del risultato operativo. Si tratta di superare la storica articolazione per società e marchi distinti – Generali Assicurazioni, Ina-Assitalia, Alleanza-Toro, Genertel, Banca Generali, Fata, Simgenia – tenendo in ultima istanza solo i brand Generali, Genertel e Alleanza. L’incorporazione di Toro dovrebbe avvenire tra settembre e ottobre, dopo di che resterà solo il tassello di Fata. Probabilmente Agrusti non resterà tanto a lungo in sella da vederne la vendita o la sua incorporazione in Generali Italia (attesa agli inizi del 2014). A sinistra nell’altra pagina, all’interno del grafico, Mario Greco, amministratore delegato e direttore generale di Assicurazioni Generali.